La cognà: dolce metà delle tome Piemontesi
Esiste una ricetta per conservare l’autunno, imprigionarne i colori e raccoglierne i suoi profumi.
Le ultime uve e i primi mosti, i frutti resistenti e così zuccherini, le nocciole ad asciugare al sole: a inizio settembre la natura offre una ricca tavolozza. Pennellata dopo pennellata, mestolo dopo mestolo prende forma il quadro: la cognà, o cugnà che dir si voglia.
Per alcuni è una marmellata, per altri è una salsa, per tutti è la compagna dei formaggi, anzi delle tome, Piemontesi.
La cognà ha natali antichi ma ingegno femminile. Sono le massaie, si narra già quelle greche e romane, ad aver scoperto e diffuso un goloso metodo per conservare le mele cotogne con il miele. Lo si può ritrovare anche nel ricettario romano di Apicio del IV-V secolo d.C. I Greci, si legge, avevano infatti l’usanza di cuocere molto lentamente i propri frutti così da averne in abbondanza durante i periodi più freddi. Allo stesso modo fecero i Romani, immergendo le produzioni contadine in vino cotto o mosto.
Oggi la cognà è un’arte, custodita dalle Langhe e dalla sinuosità delle sue nonne. Il tempo vince nella qualità del prodotto: sono infatti necessarie 24 ore affinchè si raggiunge la consistenza ideale per la cognà.
Dal territorio: nocciole Piemonte IGP, pesche, pere, fichi, mele cotogne e naturalmente il mosto. Di qualità: frutta secca, noci e mandorle. Fatto bollire il mosto, privato delle bucce e dei vinaccioli, si vanno ad aggiungere tutti gli ingredienti, lasciando per ultime le nocciole e le noci. Barattoli di vetro alla mano, la cognà è pronta per riposare in dispensa. Naturalmente non esiste un’unica ricetta: ogni cascinale, ogni massaia, ogni famiglia conserva la propria.
Cognà e formaggi: un matrimonio gastronomico all’insegna della chimica. Le tome Piemontesi e la salsa di Langa sono infatti alimenti complementari. I primi, praticamente privi i zuccheri, trovano nella cognà la loro ‘dolce’ metà.